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IMPRINT |
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Un uomo che reca in viso mille storie avventurose, viene traghettato in un'isola di perdizione alla ricerca della geisha alla quale aveva promesso un avvenire assieme. In un bordello, gli racconteranno di lei... Takashi Miike è pazzo e questo già lo sapevo, dopo aver visto il disturbante "Audition". Un pazzo però, col totale controllo del "mezzo" (cervello). Come filma le torture lui, non lo fa nessuno. Il "corto" (preferisco chiamarlo così, piuttosto che declassarlo a "episodio di una serie tv americana" dedicata ai "Masters of Horror" e destinata ad un circuito via cavo, anche perché la produzione -una volta visionato- preferì non mandarlo in onda) fa uso sapiente di luci e scenografie che coniugano il teatro popolare nipponico al fumetto manga, ottenendo una resa simile a una lanterna magica. La totentanz investe attori adeguati (Billy Drago, unico attore occidentale) in una sceneggiatura che spiazza invertendo spesso il senso logico della narrazione, aprendo nuove vie e lasciandone volutamente abbozzate altre. Come in "Audition", si parte in un contesto pseudo-reale per sprofondare progressivamente nell'horror, con impennate improvvise nel puro campo onirico. Le scene di tortura sono quasi insostenibili, cioé appena al di sotto di quella soglia che ti permette di mantenere gli occhi aperti, prima che il senso di rigetto e nausea prendano il sopravvento e il disagio abbia la meglio sul compiaciuto voyerismo. Al di la dei rimandi a "Madama Butterfly" (della quale "Imprint" può essere considerato un epilogo agghiacciante), l'opera di Miike è un vero e proprio viaggio metaforico all'inferno: un percorso nella memoria, non avaro di menzogne, che aiuterà il protagonista (e noi con lui) a scoprire la terrificante verità sul destino dell'amata e il ruolo della narratrice. Sfido chiunque a restare indifferenti alla sequenza del martirio. [FB] |
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[IMPRINT] di T. MIIKE, con B. DRAGO E Y. KUDOH, HORROR, USA GIAPPONE, 2005, 60', 1.85:1, VOTO: 8 |